La carne coltivata non arriverà a breve nei supermercati italiani, ma se questo dovesse accadere, rappresenterebbe solo una scelta in più per i consumatori e non potrebbe, secondo la legge dell’UE, essere utilizzata in sostituzione della carne convenzionale senza una chiara indicazione sull’etichetta del prodotto (regolamento 2015/2283).
Per quanto riguarda le reazioni dei consumatori alla carne coltivata, l’accettazione di nuovi alimenti non è un fatto nuovo: il sushi fu introdotto in Italia alla fine degli anni ’80, superando una forte resistenza iniziale. Mentre i detrattori sostengono che gli italiani siano ostili alla carne coltivata, i sondaggi condotti prima dell’attuale campagna mediatica indicavano che almeno il 54% degli italiani sarebbe stato disposto a provarla6. Diversi fattori influenzano l’accettazione da parte dei consumatori: la conoscenza delle tecnologie agroalimentari e l’atteggiamento verso di esse, la percezione dei rischi e dei benefici (soprattutto della salubrità), le preoccupazioni etiche e ambientali, la fiducia nella catena alimentare, l’età, l’istruzione, la propensione al disgusto, l’avversione al nuovo, i tratti della personalità, i valori personali e sociali e il conservatorismo politico. Anche il nome del prodotto e il colore della confezione possono influenzare la reazione alla carne coltivata.
Di fronte a un nuovo alimento, prodotto in un luogo apparentemente inaccessibile e attraverso procedure ancora poco conosciute, le persone tendono a ridurre il carico cognitivo della scelta, semplificando i processi decisionali con l’euristica del “naturale è meglio”7: meno il cibo è lavorato, più è considerato buono, cioè gustoso, sano, equo e sostenibile. L’espressione “carne sintetica”, in questo senso, sottolinea un’opposizione al cibo “naturale”.